Nel testo della Lettera ai Romani, appena proclamato (Rm 8,14-25), l’apostolo Paolo parla più volte di attesa, parla di “ardente aspettativa della creazione”, che patisce (“geme e soffre”) la schiavitù della corruzione, impostale dal comportamento predatore dell’uomo e parla della nostra attesa, di noi che, pur “possedendo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo”. L’apostolo collega la nostra attesa alla speranza attivata dalla rivelazione che attesta la presenza e l’azione dello Spirito Santo che fa di noi dei figli di Dio, coeredi come/con Cristo della vita risorta.
Quella di cui parla Paolo non è una fragile speranza, in balia degli eventi, ma forte, affidabile, tanto da concludere che «nella speranza siamo stati salvati». Per questo, non solo non attendiamo qualcosa di irreparabile, che spegne ogni progetto di vita, ma anche possiamo attendere il nostro futuro, che non conosciamo ancora ei particolari, con perseveranza. Quel futuro di una vita “risorta” promessa ai figli di Dio, preparato da Gesù a chi conduce la propria esistenza nella fede in lui, non lo attendiamo solo per noi, ma anche per i nostri cari defunti. Un’attesa la nostra che si fa preghiera per loro, perché siano “conformi all’immagine del Figlio” (Rm 8,29).
Riguardo ai meriti dei Santi è l’apostolo Giovanni a illuminarci: «Chiunque ha questa speranza, purifica se stesso come egli è puro» (1Gv 1,3). La speranza, l’attesa sicura di “vedere il volto di Dio”, di realizzare la nostra destinazione originaria (essere immagine e somiglianza di Dio come lo è il Figlio Gesù), costituisce il cuore pulsante della nostra esistenza, orienta, sostiene la nostra libertà perché non si lasci ingannare dalle false promesse riguardo alla nostra destinazione, consente di prendere le distanze dai desideri che ingannano e deludono.
Ai Santi è riconosciuto il “merito” di avere preso sul serio il dono di Dio (il suo amore), di aver consentito a questo dono di costituire il fondamento affidabile della loro speranza, di liberare il loro cuore da quanto poteva allontanarlo dal dono di Dio. per questo nella considerazione di Gesù sono considerarti “fortunati” («Beati i puri di cuore perché vedranno Dio», Mt 5,8, dal vangelo della Messa).
Noi celebriamo la festa di tutti i Santi perché, non solo ammiriamo in loro il dono di Dio (la sua “gloria”) e apprezziamo i loro “meriti”, ma anche perché sappiamo di poter contare su di loro, perché a noi “pellegrini sulla terra”, in cammino verso la “patria comune”, il Padre del cielo ce li “dona come sostegno e modello di vita” (dal Prefazio della Messa).