Cena del Signore (Giovedì Santo, 29 marzo 2018)

L’Eucaristia che stiamo celebrando ci “riporta” all’ultima sera che Gesù trascorre con i suoi amici. E’ la sera del commiato. Non si tratta del commiato di chi parte per un lungo viaggio, ma di chi si separa dagli amici perché “va a morire”. E questo per i discepoli vuol dire una separazione per sempre, definitiva, insostenibile.

Come vive Gesù quell’ultima sera con i suoi amici, che cosa fa?

Sono i vangeli a informarci come Gesù trascorre quell’ultima sera. Luca lascia parlare Gesù, il quale confida ai discepoli: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione» (Lc 22,15) e Giovanni annota che Gesù «avendo amato i suoi che erano nel mondo (quasi a dirci che quello che sarebbe accaduto era in sintonia con quanto era accaduto prima, la conseguenza di quanto era accaduto prima), li amò sino alla fine» (Gv 13,1).

Sempre i vangeli ci raccontano di due gesti che Gesù ha compiuto quella sera. Del primo gesto ne parlano Matteo. Marco e Luca (cfr Mt 26,26-28; Mc 14,22-24; Lc 22, 19-20): la distribuzione ai discepoli del pane spezzato e la consegna del calice con il vino, una distribuzione e una consegna accompagnate dall’invito a prendere quel pane e quel calice perché facevano riferimento alla sua morte e dicevano come lui intendeva affrontarla, viverla, come offerta, dono della vita per loro e per tutti gli uomini (quindi anche per noi).

E poi un secondo invito: “fate questo in memoria di me”, cioè “non lasciate cadere questo gesto, perché io desidero continuare a stare con voi per farvi dono del mio amore, per prendermi cura di voi e perché sappiate di essere amati e possiate godere della libertà piena, quella delle persone che amano senza paura e senza limite, appunto “fino alla fine”.

Del secondo gesto ne parla solo l’evangelista Giovanni (cfr Gv 13,1-15), il quale racconta che Gesù, durante la cena, si alza da tavola, depone le vesti, si cinge attorno alla vita un asciugamano e incomincia a lavare i piedi ai discepoli, Giuda compreso, che, come segnala l’evangelista, il diavolo aveva già convinto a tradire Gesù.

Gesù, spiegherà  il suo gesto a Pietro, che inizialmente lo aveva rifiutato: con quel gesto lui desiderava non solo purificare (liberare) dal male i suoi amici, ma anche metterli nella condizione di “aver parte con lui”, cioè di renderli partecipi del suo amore, capaci di amare un po’ come ama lui. E, a seguire l’invito ai discepoli a “imitare” il suo gesto, non tanto nella sua materialità, ma nel suo significato di gesto di un amore che serve, che si fa carico degli altri, che riduce le distanze, sorprende, è inaspettato, crea fiducia nelle relazioni.

Sia la consegna da parte di Gesù che accompagna l’invito a “mangiare” il pane spezzato e a “bere” dal calice pieno di vino (“fate questo in memoria di me”) che quella a imitare il suo gesto del lavare i piedi ai discepoli (“Vi ho dato un esempio infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”), questo pomeriggio raggiunge noi.

Si tratta di un invito diverso dai nostri inviti, perché prima di indicarci «un esempio da imitare» ci segnala e ci sollecita ad accogliere «un dono di cui essergli grati» (S. Agostino).

Permettiamo quindi al Signore di realizzare anche per noi il suo desiderio, di offrirci il suo amore, che ci libera dalle tante chiusure su noi stessi, dalle tante paure che ci suggeriscono di non andare fino in fondo nel volere e nel cercare il bene degli altri.

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