Cena del Signore (Giovedì Santo 1 aprile 2021)

La preghiera della Colletta ci consente di comprendere quanto stiamo celebrando e il suo valore per la nostra vita: «O Dio che ci hai riuniti per celebrare la santa Cena nella quale il tuo unico Figlio, prima di consegnarsi alla morte, affidò alla Chiesa il nuovo e eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore, fa’ che dalla partecipazione a così grande mistero attingiamo pienezza di carità e di vita».

Quanto stiamo celebrando non parte da noi, non è una iniziativa nostra, ma da un invito da parte di Dio, dalla sua iniziativa è Lui “che ci hai riuniti per celebrare la santa Cena”.

Di quale Cena si tratta? Quella Cena che Gesù condivide con i discepoli, prima della sua morte e che ci è raccontata dall’ apostolo Paolo seconda lettura (1Cor 11,23-26). Quella sera, durante quella Cena Gesù aveva indicato ai discepoli nel pane preso dalla tavola il suo corpo (lui stesso) dato per loro e nel calice colmo di vino “la Nuova Alleanza nel suo sangue”. Aveva ripetuto, poi, per due volte «Fate questo in memoria di me».

La consegna di Gesù non è rimasta ferma a quella sera, in quel luogo, destinata solo a quei discepoli, ma è passata a Paolo («Ho ricevuto dal Signore»), il quale a sua volta l’ha trasmessa ai cristiani di Corinto. Quella consegna è giunta fino a noi, che, come scrive l’Apostolo, “ogni volta che mangiamo questo pane e beviamo questo calice noi annunciamo la morte del Signore, finché egli venga”.

La preghiera della Colletta ci spiega che quello che Gesù “ha affidato alla sua Chiesa (a noi quindi) è “il nuovo (inedito) e eterno (permanente, non bisognoso di essere ripetuto) sacrificio (offerta della propria vita) e “convito nuziale del suo amore”. La morte di Gesù cui fanno riferimento il pane e il vino nell’Eucaristia che la Chiesa celebra, su mandato di Gesù, rappresentano l’offerta che Gesù fa della propria vita (il sacrificio), nella quale Gesù esprime il suo amore fedele e totale (come è l’amore che abita un legame sponsale) per noi.

La richiesta a Dio («fa che dalla partecipazione a così grande mistero [quello del nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale dell’amore del Figlio di Dio] attingiamo pienezza di carità e di vita) ci ricorda che non stiamo facendo una semplice e commovente commemorazione del gesto eroico di Gesù (l’offerta della sua vita), ma che da questa “memoria celebrativa” noi “attingiamo” (riceviamo) pienezza (in misura colma) di carità (l’amore con cui Gesù ci ha amato e continua ad amarci) e di vita (il frutto buono dell’amore).

Attingere “pienezza di carità e di vita” dal “grande mistero” dell’offerta di Gesù (il sacrificio) per amore, ci abilita a seguire l’esempio dato da lui a tutti i discepoli (da quelli presenti in quella sala a quelli che grazie a loro avrebbero creduto in lui), quando, come scrive Giovanni nel vangelo, Gesù, «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1), durante la cena «si alzò da tavola, depose le versi (la sua condizione di Figlio di Dio), prese un asciugamano (la divisa di lavoro dei servi) e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli co l’asciugamano di cui era cinto». Gesto questo delegato agli schiavi, ai servi.

Le parole successive di Gesù («Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come ho fatto io») ci fanno comprendere che la carità raggiunge la sua pienezza quando si esprime nel servizio, nel prendersi cura degli altri, così come ha fatto Gesù; ci fanno anche comprendere che noi saremo capaci di questo servizio solo onoreremo il mandato di Gesù, e cioè  continueremo a fare memoria del suo amore che lo condotto all’offerta della propria vita.

Ecco perché siamo qui, ecco perché i discepoli di Gesù accolgono volentieri l’invito del Padre a radunarsi per celebrare quella Cena nella quale Gesù ha manifestato il suo amore ai suoi amici, quelli presenti e quelli futuri.