Dai testi della liturgia emerge che quanto accade al fiume Giordano ci riguarda. Al Giordano accadono due fatti tra loro strettamente collegati: Gesù si fa battezzare da Giovanni e viene proclamato dal Padre (la voce dal cielo) Figlio amato, nel quale il Padre si riconosce.
Il battesimo che Gesù costringe Giovanni Battista a dargli era il gesto compiuto da chi si riteneva peccatore. Per questo la dinamica del gesto prevedeva il riconoscimento dei propri peccati, come annota l’evangelista Marco: «Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme, confessando i loro peccati» (1,5). Ora Gesù riceve il battesimo, pur non avendo peccati da confessare. Perché allora compie questo?
La risposta sta nell’avvenimento dell’incarnazione che in questi giorni abbiamo celebrato: il Figlio di Dio si fa uno di noi, prende la carne degli uomini, per riscattarli dalla schiavitù del peccato, per offrire loro la comunione con Dio. Andando al Giordano, confuso tra la folla dei peccatori, Gesù dice fin dove si spinge nel condividere la nostra condizione di uomini peccatori.
L’Apostolo Paolo parlerà in modo audace di questa condivisione nella seconda Lettera ai cristiani di Corinto: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (5,21).
Il gesto di Gesù ha come effetto l’apertura del cielo. L’evangelista Marco registra che, Gesù, «uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli» (1,10). Quel cielo che dopo il peccato di Adamo restava inaccessibile agli uomini, con Gesù si riapre. Dio e gli uomini riprendono a incontrarsi, a parlarsi. Dal cielo “squarciato” lo Spirito Santo “discende verso di lui (Gesù) come una colomba” e il Padre (“la voce dal cielo”) si rivolge direttamente a Gesù per dire l’approvazione della sua decisione di andare al Giordano a ricevere il battesimo riservato ai peccatori, lui che non ha commesso peccati («Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento», 1,11).
Il battesimo di Gesù ci riguarda perché siamo messi in condizione di assecondare l’invito di Dio (cfr. il testo di Isaia 55,1-11, nella prima lettura): andare da Lui, ascoltarlo, accogliere i suoi regali – l’alleanza – perché presso Dio troviamo la vita. L’offerta di Dio non ha alcun costo (“comprate senza denaro”) e Dio è determinato a realizzarla («…sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò per cui l’ho mandata», Is 55,11).
Nell’invito di Dio ritroviamo una verità che troppo spesso ci sfugge o nascondiamo a noi stessi: siamo dei mendicanti, non solo di cibo e di acqua, ma di qualcosa che né il cibo né l’acqua sono in grado di assicurarci.
Nei prossimi giorni smonteremo i presepi nelle nostre case e saranno tolte le luci in città e nei nostri paesi; torneremo alla vita quotidiana, con i suoi impegni, le sue fatiche le sofferenze e speranze. Quanto abbiamo celebrato in questi giorni ci conferma il desiderio di Dio di offrirci la cose buone del suo amore per noi, della sua cura per la nostra vita, ci chiede di lasciarci rinnovare interiormente (nel nostro cuore) da questo amore e di vivere come fedeli imitatori di Gesù, il Figlio nel quale Dio si riconosce.
E’ quanto abbiamo chiesto al Padre nella preghiera della Colletta, all’inizio della celebrazione: «il tuo Figlio si è manifestato nella nostra carne mortale, concedi a noi, che lo abbiamo riconosciuto come vero uomo, di essere interiormente rinnovati a sua immagine».