Veglia di preghiera con i giovani (Sabato 23 marzo 2018)

I testi della parola di Dio appena proclamati presentano due situazioni familiari. Dt 6,20-25 descrive una situazione serena: padre e figlio dialogano tra loro, senza tensioni né scontri. Il figlio chiede al padre il senso di quanto vede fare da lui (la memoria della liberazione dall’Egitto) e il significato di tutte le norme e istruzioni date da Dio. Con la sua domanda il figlio mostra anzitutto attenzione, interesse per quello che accade attorno a sé, non resta prigioniero del proprio mondo; riconosce inoltre di aver bisogno dell’aiuto di qualcuno per comprendere il senso dei gesti e delle parole che costituiscono un punto di riferimento decisivo per la vita.

Il padre, da parte sua, non interpreta la richiesta del figlio come una sfida, una provocazione; vi risponde raccontando della propria vita. Dal racconto emerge che la sua vita non è stata un accadere casuale di eventi, perché si è svolta guidata dal Signore, il quale ha propiziato condizioni buone  per la vita (come la liberazione dalla schiavitù d’Egitto, le istruzioni per una cammino di reale libertà).

Il testo di Luca (2,40-51) racconta di una famiglia, quella di Gesù, che vive un momento di tensione tra Gesù, il figlio, e i suoi genitori. Sono le parole che Maria rivolge a Gesù, ritrovato dopo giorni di ricerca nel Tempio, a segnalare la tensione: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Le parole di Maria sono quelle di un genitore che ricorda al figlio che le su scelte non hanno una ricaduta solo su di lui, sulla sua vita, ma anche sulle persone della sua casa, sulla loro vita.

Le parole di Gesù a Maria sono le parole di un figlio che ricorda ai genitori che il primo interlocutore di un figlio resta il Padre del cielo, il Datore di ogni vita, Colui che conosce bene il cuore di ogni persona e che sa dare cose buone ai suoi figli.

La risposta di Gesù non è compressa dai suoi genitori («Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro»), per questo richiede una paziente ricerca del loro senso. E’ quello che fa Maria, la quale custodisce la parole misteriose del figlio nel proprio cuore, cercandone il senso.

La chiusura del racconto lascia intravedere un clima più sereno nella famiglia di Gesù, perché il figlio pratica il comandamento di Dio (“stava loro sottomesso”) e i genitori prestano ascolto alla parola del figlio che ricorda loro di non essere né i primi né gli unici suoi interlocutori.

Queste due famiglie cosa possono dire alle nostre famiglie?

Rivolgono l’invito a vivere il rapporto tra generazioni come un rapporto di alleanza, un rapporto tra alleati, dove entrambi, genitori e figli, si riconoscono debitori gli uni nei confronti degli altri: i figli il debito di porre ai genitori le domande fondamentali, quelle che riguardano il senso dell’esistenza; i genitori il debito di prendere sul serio le domande dei figli, di offrire una risposta, che non può prescindere da come loro hanno risposto alla domanda di senso.

Questa alleanza resisterà alle prove, alle tensioni, che non le sono risparmiate dalla vita, se entrambi, genitori e figli, presteranno ascolto con fiducia all’unico Padre del cielo, custodiranno nel proprio cuore le sue parole, anche quando non sembrano rispondere immediatamente alle loro domande, o danno risposte diverse da quelle che si attendevano.

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