Messa Crismale (13 aprile 2017)

Nei testi della celebrazione liturgica notiamo un’oscillazione, come quella di un pendolo, tra il riferimento all’ “io” personale e il riferimento al “noi” comunitario. L’armonia del movimento è garantita proprio da questo oscillare costante tra un polo e l’altro.

All’ “io” personale si riferiscono il testo del profeta Isaia, proposto dalla prima lettura, e il vangelo, dove Luca racconta che a Gesù è affidato, nella sinagoga di Nazareth, proprio il testo del profeta, che Gesù commenta come riferito a Lui stesso («Oggi si è compiuta la Scrittura che voi avete ascoltato»).

Sempre all’ “io” personale fa riferimento il salmo responsoriale che presenta la vicenda di Davide, raccontata dal Signore stesso, con il ritornello che ognuno di noi ha ripetuto più volte («Canterò per sempre l’amore del Signore»).

Al “noi” comunitario fanno riferimento i testi dell’Apocalisse nella seconda lettura (dove si parla di noi “liberati dai nostri peccati da Gesù con il suo sangue” e costituiti “sacerdoti per il suo Dio”), le orazioni e il prefazio.

Anche due gesti, propri solo di questa celebrazione, rappresentano questo movimento pendolare: il rinnovo delle promesse sacerdotali e la benedizione degli olii per i sacramenti. Nel rinnovamento delle promesse sacerdotali, io vi interrogherò comunitariamente (“Volete”) e voi risponderete singolarmente (“Sì, lo voglio”). Insieme benediremo gli olii per i sacramenti che ognuno di noi amministrerà personalmente.

Anche la liturgia, quindi, ci ricorda che il ministero presbiterale è affidato a ciascuno personalmente e svolto comunitariamente, nella comunione di un presbiterio. Ciascuno di noi è stato invitato dal Signore Gesù a impegnare interamente la propria vita nella condivisione con lui del servizio al Regno. Anche per ciascuno di noi Gesù ha ripetuto l’invito rivolto ai pescatori sulle rive del lago di Tiberiade («Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini»).

Il servizio al Vangelo del Regno, affidato a noi personalmente, è svolto comunitariamente, con il Vescovo all’interno del presbiterio, perché come ha scritto il santo Papa Giovanni Paolo II, nella Pastores dabo vobis «il ministero ordinato ha una radicale forma comunitaria e può essere assolto solo come un’opera collettiva» (n 17).

Il riferimento al presbiterio ci rimanda alla fraternità sacerdotale e alla condivisione del servizio pastorale come ricorda la Costituzione conciliare Presbiterorum Ordinis: «I presbiteri, costituiti nel­l’Or­dine del Presbiterato mediante l’Ordinazione, sono tra loro uniti da intima fraternità sa­cramentale; ma in modo speciale essi formano un unico Presbiterio nella diocesi al cui servizio sono ascritti sotto il proprio Vescovo… Pertanto, ciascuno è unito agli altri mem­bri di questo Presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fra­ternità… è dunque legato ai confratelli con il vincolo della carità, della preghiera e della in­condizionata collaborazione, manifestando così quell’unità con cui Cristo volle che i suoi fossero una cosa sola, affinché il mondo sappia che il Figlio è stato inviato dal Padre» (cfr LG 28).

So bene che non basta richiamare i testi della parola di Dio, della liturgia e del Magistero per vivere il ministero senza abbandonarsi allo sconforto di fronte alle sfide lanciate dai molti e radicali  cambiamenti, alle resistenze che troviamo, in noi e nella nostra gente; senza consentire alla paura, di non essere all’altezza di quanto ci viene chiesto, di insinuarsi e di crescere in noi; senza cedere alla tentazione di procedere in autonomia nel nostro servizio.

Quanto ci è appena stato ricordato ha bisogno di una cordiale e fiduciosa adesione da parte nostra per portare frutti buoni nella nostra vita e nel nostro ministero di presbiteri.

Permettetemi di offrire qualche suggerimento al riguardo.

Vi invito, anzitutto, a collegare quel “Sì, lo voglio” che attesta la vostra volontà di continuare a onorare la promessa dell’ordinazione, con quanto abbiamo ripetuto nel salmo responsoriale: “Canterò per sempre l’amore del Signore”.

Il collegamento ci ricorda che all’origine della nostra vocazione sta l’amore del Signore, che ha pensato a noi e ci ha scelti prima ancora che noi venissimo al mondo, che questo amore ci è stato offerto, non in considerazione delle nostre qualità o in previsione di generose prestazioni da parte nostra, che ci ha accompagnato nei passaggi decisivi del nostro discernimento vocazionale, che rappresenta ogni  giorno “il nostro sostegno” e la “nostra forza” e riferimento affidabile per i giorni a venire, come ci ha assicurato il Signore stesso: «la mia fedeltà e il mio amore saranno con lui» (salmo 88). Un amore attestato da Gesù stesso, “con il suo sangue” (cfr Ap. 1,5).

A noi è chiesto di permettere al Signore di continuare a offrici il suo amore, di consentire a questo amore l’azione di liberazione dalle nostra paure, dalle resistenze e chiusure che finiscono per appesantire e intristire ancora di più il ministero.

Un passo della Lettera agli Ebrei, che abbiamo meditato nei giorni scorsi, con la concretezza dei suoi inviti, può offrire un prezioso contributo alla realizzazione della “forma comunitaria” del nostro ministero, alla promozione di una presbiterio sempre più ospitale: «Prestiamo attenzione gli uni gli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone. Non disertiamo le nostre riunioni…ma esortiamoci a vicenda» (Eb 10,24-25).

E’ la carità, e non altro, a giustificare le attenzioni che dovremmo avere gli uni per gli altri e a suggerire la destinazione di tali attenzioni: il reciproco sostengo nel promuovere la stessa carità, che tra di noi assume la figura e l’espressione di una “fraternità” e le “opere buone” del ministero, quelle ispirate e sostenute dalla “carità pastorale”, quella che Gesù ci ha mostrato con la sua esistenza, culminata nel dono di sé, della propria vita.

L’invito a non “disertare le riunioni” può rappresentare un efficace antidoto alla tentazione di precedere nel ministero in solitudine, come “battitori liberi”, “liberi professionisti, con una propria partita IVA”, generosi, ma sempre “battitori liberi”; può sostenere la fatica e la pazienza di un ascolto reciproco, di un discernimento comune per individuare scelte pastorali condivise; può incoraggiarci a offrire, nei nostri incontri,  il contributo della personale riflessione e della personale esperienza.

Vorrei concludere anzitutto ringraziandovi per il vostro generoso ministero nella nostra chiesa di Senigallia, con l’augurio che siate sempre grati al Signore, come lo è stata Maria di Nazareth, per questa “grande cosa che il Signore ha fatto a vostro favore”, che il ministero sacerdotale e con l’invito a ritrovarci qui il 6 Maggio, quando condivideremo con due nostri giovani, Filippo ed Emanuele, il loro definitivo  “si lo voglio” al Signore nell’ordinazione sacerdotale.

 

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