XXI Domenica del Tempo Ordinario (24 Agosto 2025)

L’atteggiamento del padrone di casa, descritto da Gesù, colpisce per la sua severità (chiude la porta di casa a chi desidera entrarvi), per la sua indisponibilità a rivedere la propria decisione (“non so di dove siete. Allontanatevi da me”) e per l’asprezza del suo giudizio (“voi tutti operatori di iniquità”).

Nelle parole di Gesù Dio Padre è rappresentato dal padrone di casa si comporta in un modo molto diverso da quel Dio, di cui sentiamo spesso parlare, soprattutto in quest’anno giubilare, per tutti occasione – come si è augurato Papa Francesco – di rianimare la speranza che “non illude e non delude”, perché «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato« (Rm 5,5).

Come stare di fronte a Dio che si comporta in questo modo,  che non è una nostra caricatura, perché a presentarlo in questo atteggiamento è Gesù stesso e che sembra smentire quanto il profeta Isaia rivela nella prima lettura (Is 66,18b-21): «Così dice il Signore: “Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria»?

A suggerirci l’atteggiamento corretto sono due testi della liturgia di questa domenica. Il primo è il brano della Lettera agli Ebrei, proposto come seconda lettura (Eb 12,5-7.11-13), il secondo è la preghiera che abbiamo rivolto a Dio stesso agli inizi dell’Eucaristia (la Colletta).

L’autore della Lettera agli Ebrei invita ad accogliere con fiducia la correzione da parte del Signore, anche quando ci è rivolta con una severità che procura amarezza; motiva l’invito segnalando che a spingere il Signore a correggerci non è il fastidio procurato dal nostro comportamento, ma l’amore di un padre («Dio vi tratta come figli»). Nella considerazione del nostro Autore la correzione messa in atto da Dio rivela chi siamo noi per Lui («il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio»). Per questo la tristezza iniziale lascerà il posto alla pace e alla giustizia, il frutto buono dell’intervento correttivo di Dio («arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati»).

Alla luce del testo della Lettera agli Ebrei possiamo intendere le parole severe del padrone di casa (Dio), come una correzione, più che come un castigo, una correzione del nostro modo di vivere il rapporto con Lui, un rapporto che resta superficiale, di una frequentazione che non incide concretamente sul nostro modo di condurre l’esistenza, di considerare persone e cose, sui nostri punti di riferimento nelle scelte.

La disponibilità a lasciarci correggere dal Signore potrebbe esprimersi nell’interrogarci, con coraggio, dove nella mia vita il rapporto con il Signore risulta ancora marginale, poco incisivo o, addirittura, del tutto ininfluente.

Il secondo testo, la Colletta, ci suggerisce come riscattare il rapporto con il Signore dall’insignificanza, dalla superficialità, denunciata dal “padrone di casa” del vangelo: «O Dio… concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché tra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia». La richiesta rivolta a Dio («Concedi») fa riferimento al coinvolgimento profondo, serio, della nostra persona, perché si parla di amore e di desiderio.

“Amare ciò che Dio comanda” appare sensato perché i comandamenti di Dio, da quelli indicati da Jahvè a Mosè sul Sinai al duplice comandamento dell’amore, indicato da Gesù, non sono suggeriti dalla volontà di Dio di prevaricare su di noi, di tenerci in pugno, di porre un limite alla nostra libertà, ma dal desiderio di promuovere la nostra vita, di metterla al riparo da possibili derive, come quella denunciata nel vangelo di questa domenica.

“Desiderare ciò che Dio promette”: non restare indifferenti, non lasciarsi vincere dal sospetto, di fronte a quanto Dio ha nel cuore, desidera e intende realizzare a nostro favore, la “vera gioia”, quella gioia che non dipende dalla precarietà degli avvenimenti della vita, che non è in grado di “sopportare” le situazioni negative.

A rendere seria la nostra richiesta è la consapevolezza che solo percorrendo la strada dell’amore che obbedisce a Dio e del desiderio che si fida delle sue promesse, la nostra relazione con il Signore può veramente e concretamente incidere sulla nostra vita, perché “fra le vicende del mondo (della storia dei nostri giorni, della nostra esistenza quotidiana che si snoda tra situazioni diverse e, a volte, contrastanti) i nostri cuori (la nostra persona con i suoi desideri e i gesti della sua libertà) restano fissi (si raccolgono e si radicano, guadagnano un saldo punto di riferimento) dov’è la vera gioia (la casa di Dio, dove siamo attesi e dove, quando vi giungeremo, non troveremo la porta sbarrata e non sentiremo le parole severe del Signore).