XX Domenica del Tempo Ordinario (17 Agosto 2025)

La prima impressione che ricaviamo dai testi della parola di Dio di questa domenica è un certo disagio e sconcerto per le asprezze dei testi: la violenza nei confronti di un profeta, Geremia, che dice cose scomode, che i capi d’Israele non vogliono sentirsi dire; il testo della lettera agli Ebrei che parla di una resistenza fino al sangue nella lotta contro il peccato. E poi Gesù che parla di un fuoco che brucia e  rivela che sua intenzione non è quella di portare la pace tra gli uomini, ma la divisione, correggendo, in questo modo, il messaggio degli angeli ai pastori nella notte di Natale, dove si parla di una grande gioia e della pace sulla terra destinata agli uomini che Dio ama. Il disagio e lo sconcerto diventano ancora più grandi se ci guardiamo attorno, a quello che succede in questi tempi: non c’è proprio bisogno che anche il Signore parli il linguaggio della violenza, che ci si metta anche lui a creare divisione nelle famiglie, già in difficoltà a restare unite.

Il disagio e lo sconcerto possono risultare salutari, se ci costringono a comprendere il senso reale delle parole scioccanti di Gesù.

Le immagini che Gesù propone per spiegare il significato della sua venuta nella storia – il fuoco e il battesimo – illustrano la sua tensione verso il compimento della opera affidatagli dal Padre.

Il fuoco nella tradizione biblica, in particolare profetica, fa riferimento a tante realtà:  è il segno del giudizio che, come il fuoco, purifica e consuma; esprime qualcosa di incontenibile, come la parola di Dio che il profeta Geremia non riesce a frenare (“Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”, Ger 20,9); parla di qualcosa che arde senza distruggere, come il fuoco del roveto ardente attraverso il quale Dio si rivela a Mosè (cfr Es 3,2). Quel fuoco che Gesù desidera “acceso” non è tanto quello della punizione o giudizio di Dio contro l’umanità peccatrice, ma quello della parola di Dio e dello Spirito che trasforma e rinnova la terra.

L’immagine del battesimo indica la passione e la morte di Gesù. I vangeli ci dicono che la morte violenta della croce, imposta a Gesù dai suoi avversari, lui non la subisce, ma l’accetta, anzi, come annota l’autore della Lettera agli Ebrei nella seconda lettura, “vi si sottopone”, lasciando perdere la gioia che gli stava di fronte come alternativa. E questo perché Gesù, sono ancora i vangeli a segnalarlo, coltiva un amore grande per i suoi amici, ancora più grande di quello che sente per la propria vita, come lasciano intravedere le parole rivolte ai discepoli nell’ultima sera trascorsa con loro: «Nessuno ha un amore più grande di colui che dà la vita per i propri amici» (Gv 15,13).

Sempre secondo l’autore della Lettera agli Ebrei, Gesù, con questa sua morte, cattura il nostro sguardo, provoca la nostra corsa, quella lanciata e sostenuta dalla fede, verso di Lui, ci dà la forza di sopportare la “grande ostilità” di chi vuole impedirla.

Gesù infine ci ricorda che la sua presenza nella storia degli uomini, quando è presa sul serio, provoca gli uomini a prendere una decisione nei suoi confronti lui, che può generare divisioni perfino tra le persone di una stessa famiglia. Questo perché decidersi riguardo a Gesù, non è decidersi riguardo a qualche ipotesi di vita, ma riguardo a quella verità, la quale, proprio perché conferisce senso all’intera esistenza, con tutto quello che la caratterizza, va preferita a tutto il resto, relazioni familiari comprese.

Lo choc provocato dal linguaggio di Gesù, risulta salutare perché ci consente di valutare la posta in gioco (la nostra vita) e di non ripetere, come recita la preghiera della Colletta, il “tragico rifiuto della verità e della grazia”, che Gesù intende offrirci.

Per questo Gesù non si è sottratto a una morte, quella consumata sulla croce, che ai più appariva “segno di contraddizione” né ha timore di usare con noi un linguaggio che, se anche a primo udito infastidisce e turba, può, tuttavia, far ripartire la corsa della nostra libertà, tenendo occhi e cuore fissi su di lui, il bene promesso e donato dal Padre, che “supera ogni nostro desiderio” (dalla preghiera della Colletta).