XVIII Domenica del Tempo Ordinario (3 agosto 2025)

«Donaci di lavorare con impegno in questo mondo, affinché liberi da ogni cupidigia, ricerchiamo il vero bene della sapienza». Nella richiesta presentata a Dio nella preghiera della Colletta si parla del nostro lavoro in  questo mondo, durante la nostra vita. di che lavoro si tratta? Penso che si tratti dell’impegno primario a “mettere in sicurezza” la nostra vita, a garantirci una vita “serena” dal punto di vista economico, affettivo e del conseguimento dei nostri progetti. Si tratta di un lavoro impegnativo perché deve fare i conti con tante “varianti”, diverse “insidie”, alcune facilmente individuabili, altre più nascoste, ma non meno insidiose, anzi spesso le più insidiose. Tra queste abbiamo riconosciuto nella preghiera della Colletta, la “cupidigia”, in ogni sua manifestazione. A metterci in guardia dalla cupidigia è stato l’apostolo nella Lettera alla comunità di Colossi, proposta nella seconda Lettura (Col 3,1-5.9-11) Paolo invita i cristiani di Colossi e, oggi, ciascuno di noi, a disattivare (“fare morire”) quelle “passioni” che ci tengono legati alla “terra”, cioè al limitato orizzonte dell’esistenza terrena. Tra queste passioni una, in particolare, la “cupidigia che è idolatria”.

La cupidigia è il desiderio incontrollato di possedere – cose e persone – di provare tutto quello che appare immediatamente appagante, pensando che solo acconsentendo a questo desiderio siamo in grado di godere appieno la vita, La conseguenza che ne deriva è la consegna dell’esistenza ai propri desideri, riconosciuti come indicatori affidabili, su come di “metterla in sicurezza” la vita (questo dice l’identificazione da parte dell’Apostolo della cupidigia con l’idolatria, cioè con il riconoscimento di qualcosa o di qualcuno, come sostituto di Dio quale “salvatore”  della vita). Proprio come riteneva l’uomo stolto della parabola.

Per l’intraprendente proprietario terriero della parabola raccontata da Gesù (Lc 12,13-21) il raccolto abbondante di una campagna generosa gli avrebbe un’esistenza serena, liberata dalla fatica (“Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni, riposati, mangia, bevi e divertiti”).

Nella considerazione di Dio, però, quell’uomo si è comportato da “stolto”, perché ha affidato ai molti beni che aveva a disposizione il compito di “dare sicurezza” alla sua esistenza. L’improvvisa comparsa della morte avrebbe impedito a quell’uomo di godere di quei beni, come era nei suoi progetti.

Gesù, coinvolto in una disputa tra fratelli per una eredità non condivisa, mette in guardia dagli esiti devastanti della stoltezza palesata dal protagonista della parabola (“così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio”). Anche lui, in riposta alla richiesta di aiuto della persona privata dall’eredità dal proprio fratello, aveva lanciato un avvertimento e rivolto un invito (“Fate attenzione e tenetevi lontano da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede”).

Paolo propone, come efficace rimedio alla cupidigia, di ampliare l’orizzonte della nostra esistenza terrena, riconoscendo in Gesù Cristo risorto la nostra vita e che la destinazione della nostra esistenza è proprio quella di partecipare definitivamente della risurrezione di Gesù, garanzia di una vita piena, come ognuno di noi desidera.

Gesù e l’apostolo Paolo, dopo averci messo in guardia dall’insidia della cupidigia, ci assicurano che siamo in grado di “mettere in sicurezza” la nostra vita sulla terra quando la apriamo fin da ora al Signore, il quale ci fa partecipare a un orizzonte più ampio di quello terreno, l’orizzonte della sua vita risorta, definitivamente sottratta all’attacco della morte e ci dona quella sapienza che consente di riconoscere la sua offerta come quel bene che realmente da serenità e solidità alla vita.