Nella preghiera della Colletta la comunità cristiana, radunata nel giorno del Signore per celebrare l’Eucaristia, rivolge una richiesta al “Padre misericordioso che nel comandamento dell’amore ha portato a compimento la legge e i profeti”. La richiesta fa riferimento alle condizioni che consentono di onorare il comandamento dell’amore: “un cuore capace di misericordia”. Lo scopo della richiesta: “per prenderci cura dei fratelli che sono nel bisogno e nella sofferenza”; “a immagine (imitazione) di Gesù, il Figlio suo”.
La richiesta offre una duplice chiave di lettura della parabola del buon samaritano proposta dal vangelo (Lc 10,25-37), una lettura cristologica e una lettura ecclesiologica.
La lettura cristologica (la parabola parla di Gesù), proposta soprattutto dai Padri della Chiesa, identifica il buon Samaritano in Gesù, che si avvicina all’umanità, caduta in mano ai briganti che l’hanno derubata e abbandonata lungo la strada del mondo coperta da ferite. L’umanità ferita è l’umanità segnata dal male, dal peccato, che dopo averla colpita, la lasciata senza energie.
Gesù è il buon samaritano, lo straniero, colui che viene dall’alto e si prende cura dell’uomo, lo porta sulle proprie spalle e lo consegna alla Chiesa, perché se ne prende cura.
Significativo un prefazio della liturgia eucaristica. «Nella sua vita mortale egli [Gesù] passò beneficando e sanando tutti coloro che erano prigionieri del male. Ancora oggi come buon samaritano viene accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito e versa sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza. Per questo dono della tua grazia, anche la notte del dolore si apre alla luce pasquale del tuo Figlio crocifisso e risorto».
Ci chiediamo: da quali ferite il buon Samaritano può guarirmi?
La lettura ecclesiologica, la più comune, sottolinea l’impegno del cristiano, che cosa deve fare per “guadagnare la vita eterna”. La parabola rappresenta la risposta di Gesù alla domanda del maestro della legge («E chi è il mio prossimo?»), che vuole giustificarsi per la questione iniziale («Che devo fare per ereditare la vita eterna?»).
La parabola di Gesù è costruita sulla contrapposizione dei personaggi: mentre il sacerdote e il levita
“vedono e passano oltre”, il samaritano non “passa oltre”, perché “vede”, “ha compassione” e si “avvicina” all’uomo ferito e si fa carico di lui anche con i propri denari.
La domanda finale («Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?») suggerisce un nuovo modo di vedere le cose: quanto i due addetti al culto non hanno fatto, l’ha compiuto invece il samaritano, perché “mosso dalla compassione”.
Per rispondere alla domanda iniziale («Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»), bisogna rileggere il comandamento dell’amore, che riguarda Dio e il prossimo, nella prospettiva della “compassione”, che diventa, così, il nuovo criterio per definire chi è il mio “prossimo”. L’invito finale di Gesù («Va e anche tu fa’ lo stesso») può essere letto così: per ereditare la vita eterna devi lasciarti guidare dalla compassione che ti rende vicino “prossimo” (solidale) a ogni persona e ti porta a prenderti cura di lui generosamente.
Lo stretto intreccio esistente tra la lettura cristologica e quella ecclesiologica della parabola, caratterizza l’aspetto originale della carità operata dai discepoli di Gesù-buon Samaritano.
«Va’ e anche tu fa lo stesso»: il cristiano è colui che fa, esprime non una carità generica, ma la carità espressa da Gesù-buon Samaritano, istruita dalla stessa compassione e dai gesti di Gesù.



