Passione del Signore (18 Aprile 2025)

L’evangelista  Giovanni, nel suo racconto della passione e morte di Gesù (Gv 18,1-19,42), riferisce che chi ha visto “uscire sangue e acqua” dal suo fianco, colpito da un colpo di lancia sferrato da uno dei soldati, mandati da Pilato a completare l’esecuzione capitale dei tre condannati, Gesù e i due malfattori crocifissi con lui, “dice il vero”, confermando così un passo della Scrittura («volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto», Zc 12,10).

Stando  alla dettagliata e realistica descrizione fatta dal profeta Isaia nella prima lettura (Is 52,13-53,12) la persona del Servo di Jahvé  – «tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma, di quella dei figli d’uomo… uno davanti al quale ci si copre la faccia» – non incoraggiava in alcun sguardo («non ha apparenza né bellezza per poter attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere»).

Data la condizione in cui si trova Gesù c’è da pensare che lo sguardo del testimone non sia quello dei  (molti) curiosi attratti dalla violenza, dalla sofferenza degli altri, ma lo sguardo di chi vuol cogliere il senso della morte di quella persona che , pur martoriata, sfigurata, attrae i nostri sguardi. Il senso della morte di Gesù lo rivela il testo del profeta Isaia: «Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si à abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti».

L’apostolo Paolo espliciterà ulteriormente il pensiero di Isaia: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor,5,21). Sulla croce avviene uno scambio: Gesù, che non ha commesso alcun peccato, prende il nostro posto di peccatori, noi che abbiamo commesso peccati, occupiamo il suo posto di Figlio. Gesù si mette al nostro posto (quello del rifiuto, del peccato) per far trovare il posto alla nostra libertà (quella della comunione filiale, della fiducia in Dio).

Quando tra poco ci recheremo da Gesù crocifisso teniamo fisso il nostro sguardo su di lui, non lo sguardo del curioso, ma dei credente, pieno di riconoscenza, persuasi che sta in lui, nel suo amore che lo ha portato ad “addossarsi le nostre iniquità”, la garanzia, il fondamento di quella speranza di cui abbiamo bisogno per vivere, “la speranza che non illude e non delude”, come ha scritto papa Francesco, parlando dell’Anno giubilare, occasione propizia per rianimare la speranza: