Messa nella Cena del Signore (17 Aprile 2025)

Quello che è successo nell’ultima sera trascorsa da Gesù con i discepoli, come ci viene raccontato dai vangeli, conferma quanto papa Francesco ha scritto nel Documento che indice l’Anno giubilare. Dopo aver manifestato l’augurio che il Giubileo  possa «essere per tutti occasione di rianimare la speranza» (Spes non confundit, 1), dichiara che «la speranza cristiana, in effetti, non illude e non delude, perché fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino» (ib, 3). L’amore divino cui papa Francesco fa riferimento, quale fondamento sicuro della speranza dei cristiani è l’amore che Gesù, che Dio Padre hanno per noi come scrive l’apostolo Paolo nella testo della Lettera ai Romani citato dal Papa (cf Rm 8,35.37-39).

I gesti compiuti da Gesù quella sera – l’offerta del pane spezzato e del calice divino, segni che dicono il senso della sua morte (cfr 2a lettura, 1Cor 11,23-26),; la lavanda dei piedi ai discepoli (cfr vangelo, Gv 13,1-15)- ci rivelano la misura, la caratura dell’amore di Gesù e di suo Padre. Luca introduce il suo racconto dando la parola a Gesù: «Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione”» (22,14-15) e Giovanni scrive che «Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fina» (13,1).

  1. Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto riporta le parole di Gesù: «Questo è il mio corpo, che è per voi, fate questo in memoria di me…Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Il senso di queste parole: «il pane spezzato e il calice dicono che la mia morte imminente è “per voi”, a vostro favore».

Giovanni, nel vangelo appena proclamato (Gv 13,1-15), descrive il gesto compiuto da Gesù verso i suoi discepoli: lava i loro piedi, gesto affidato ai servi, umiliante, non solo per quello che comportava (entrare in contatto con piedi sporchi), ma anche per la postura del corpo che richiedeva, inginocchiarsi davanti alla persone, stare ai suoi piedi. Giovanni racconta che Gesù «si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto».

I due gesti dicono fin dove si spinge Gesù nel suo amore per noi, fin a inginocchiarsi di fronte alla nostra umanità che ha perso la bellezza e la fragranza degli inizi, di quando era uscita dalle mani del Creatore (come ci rammenta il racconto di Gn 1,31: «Dio vide quanto aveva fatto ed ecco era cosa molto buona»); fino a dare la propria vita, a mettere in gioco il proprio “essere come Dio” (cfr Fil 3,6).

Grazie a questo amore la nostra speranza non viene illusa né resta delusa.

L’azione liturgica, l’Eucarestia, che stiamo vivendo non si esaurisce nel ricordarci questi gesti di Gesù, perché ci consente di trarre beneficio, ancora oggi, nell’oggi della nostra storia personale che ha bisogno di essere liberata (“lavata”) dal male che ne deturpa la bellezza e la fragranza; nell’oggi della storia di questi tempi, abbruttiti dalla violenza che semina morte nelle relazioni tra i popoli, tra le persone, dall’amore di Gesù che non abbandona il suo desiderio di fare Pasqua con noi, che non si toglie il grembiule del servo e continua a inginocchiarsi ai piedi della nostra umanità “sporcati” e “paralizzati” dal male.

Anche a noi, come ai discepoli quella sera Gesù rivolge l’invito a seguire il suo esempio («Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come ho fatto a voi»), a non avere timore di indossare il grembiule del servizio, umile e, a volte umiliante, perché ci chiede di inginocchiarci alle persone che si trovano a vivere situazioni che non incoraggiano alcuna disponibilità.