La richiesta rivolta al Padre nella Colletta della Messa crismale («concedi a noi, partecipi della sua consacrazione [quella dell’unico Figlio del Padre], di essere testimoni nel mondo della sua opera di salvezza») sembra una richiesta “di parte”: i celebranti dell’Eucaristia pregano per se stessi, a differenza delle altre celebrazioni, dove il celebrante prega per il popolo di Dio, di cui pure lui fa parte.
La richiesta “di parte” non può essere giustificata da una presunta superiorità del ministero ordinato nei confronti della comune vocazione battesimale dei fedeli laici. Spero che questa sia una consapevolezza ormai pacificamente acquisita anche nell’esercizio del nostro ministero. Questo perché anche il ministero ordinato attinge al battesimo, al pari delle altre vocazioni; inoltre, perché il ministero ordinato si legittima solo come servizio alle varie vocazioni dei battezzati.
La richiesta d’altro canto è opportuna perché riguarda i tratti qualificanti del ministero ordinato: riconosciuta la nostra partecipazione alla consacrazione del Figlio di Dio, abbiamo chiesto al Padre di essere testimoni tra gli uomini della sua opera di salvezza.
Il linguaggio liturgico che definisce il nostro ministero attinge alla parola di Dio, in particolare al testo del profeta Isaia, proclamato nella prima lettura (Is 61,13a.6a.8b-9) e letto, in parte da Gesù nella sinagoga di Nazareth, come riferisce Luca nel suo vangelo (Lc 4,16-21). Nel testo di Isaia il narratore parla di sé come “consacrato con l’unzione da parte dello Spirito del Signore” e come “mandato a portare il lieto annunzio” ai tanti “miseri” della terra.
Anche se, con altre espressioni, è quanto i vangeli, in modo particolare il vangelo di Marco, evidenziano nei racconti della chiamata dei discepoli alla sequela di Gesù. Lungo il mare di Galilea, ai quattro pescatori che vede al lavoro – Simone con il fratello Andrea e Giacomo con il fratello Giovanni – Gesù rivolge un deciso invito a seguirlo («Venite dietro a me»), precisando che lui “li avrebbe fatti diventare pescatori di uomini” (Mc 1,15). Quando, poi, Marco racconta la costituzione del gruppo dei Dodici apostoli (3,13-19), scrive che Gesù: «salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva (il senso del verbo: quelli che aveva nel cuore, quelli che aveva cari)… Ne costituì Dodici – che chiamò apostoli – perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni».
In quel “chiamare a sé” da parte di Gesù gli esegeti rilevano un’azione che conferisce un’identità e una funzione.
Subito dopo Marco presenta la lista dei nomi dei Dodici, con le specificazioni che individuano alcuni del gruppo. Dal racconto di Marco rileviamo che
- C’è un inscindibile legame tra lo “stare con Gesù” e la condivisione della sua missione. La condivisione della missione di Gesù avverte che lo stare con lui non è fine a se stesso, un fatto privato di cui beneficiano esclusivamente i Dodici, perché è in funzione della missione agli altri; lo stare con Gesù, a sua volta, rappresenta la condizione della missione, perché solo stando con Gesù, solo conoscendolo intimamente, i discepoli sono in grado di condividere la sua missione.
- Gli apostoli non stanno con Gesù individualmente, ma insieme (ecclesialmente). Non si tratta di uno stare insieme da parte di gente anonima, senza volto e senza storia, ma da parte di persone che hanno un nome, una storia personale fatta di relazioni (come i fratelli Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni), segnata da provenienze (come per Simone il Cananeo) e di scelte drammatiche (come il tradimento di Giuda Iscariota). Più avanti Marco segnalerà che anche la missione assegnata loro da Gesù non vedrà i discepoli impegnati “singolarmente”, ma “due a due” (Mc 6,6-7: «Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri») e che al ritorno dalla missione «gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tuto quello che avevano fatto e avevano insegnato» (Mc 6,30).
Il significato di questa condivisione della missione (“a due a due”) non va cercato in una maggiore efficacia (insieme si vince), quanto piuttosto nel forte impatto testimoniale di quella umanità nuova realizzata da Gesù (come scrive Paolo in Ef 2,14: Gesù è «colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia…») e come segno che distingue i suoi discepoli («Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri», Gv 13,35).
La pratica inaugurata da Gesù sarà adottata anche nella comunità primitiva: Barnaba parte in missione con Paolo (cfr At 13,1-3), Paolo con Sila (cfr At 15,40) e Barnaba con Marco (cfr At 15,39).
Marco nel suo racconto chiarirà come Gesù si prende cura di questo gruppo, per “farli diventare pescatori di uomini”. Nella prima parte (cfr 1,14-8,29) li guiderà comprendere il Regno di Dio ; nella seconda parte (cfr 8,31-10-52) li aiuterà a entrare nel Regno.
Gesù troverà resistenze da parte dei suoi discepoli, anzitutto a comprendere la sua azione (Marco segnala più volte che i discepoli non compresero le parole e i gesti di Gesù, tanto da provocare da parte sua l’amara e forse anche un po’ stizzita domanda: «Non comprendete ancora?», Mc 8,21) e a entrare nella logica del Regno (pensiamo alle reazioni dei Dodici agli annunci della passione da parte di Gesù, che lo costringono una prima volta a farli uscire da un imbarazzato silenzio: «di che cosa stavate discutendo lungo la strada? Ed essi tacevano» [Mc 9,33] e una seconda volta a “chiamarli a sé” [Mc 10, 42], per disinnescare la tensione che si era creata tra di loro dopo la richiesta dei due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni).
Le resistenze del discepoli consentono di comprendere il senso delle parole di Gesù “vi farò diventare pescatori di uomini”. Solo alla fine del cammino, prima di accomiatarsi da loro, Gesù, anche se dovrà registrare nuovamente “la loro incredulità e durezza di cuore” (Mc 16,14) affiderà definitivamente ai discepoli il compito di “pescatori di uomini” («Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo ad ogni creatura», Mc 16,15).
Anche noi un giorno siamo stati invitati da Gesù ad “andare dietro a lui”, con la promessa da parte sua che ci avrebbe fatto diventare pescatori di uomini e anche noi come i Dodici siamo andati da lui, stiamo con lui e ci lasciamo mandare da lui, “a due a due” (cioè non da soli, ma insieme, dentro un presbiterio). Nella celebrazione dell’ordinazione sacerdotale la chiamata di Gesù e il nostra risposta si sono saldate tra loro; siamo stati messi nella condizione di partecipare alla missione di Gesù (partecipi della sua consacrazione) a favore degli uomini (anche noi “pescatori di uomini”). E pescatori di uomini lo siamo diventati giorno dopo giorno nell’esercizio del ministero, che ha conosciuto i passaggi dell’età, il cambio di situazioni, dei luoghi, delle responsabilità. Sempre alla scuola di Gesù. E nessuno di noi, anche chi da molti anni segue il Signore, può dire che questo apprendistato è ormai concluso. Gesù continua a “farci diventare pescatori di uomini”, a sciogliere la nostra durezza di cuore, a liberarci dalla nostra incredulità.
Il sapere che il Signore non viene meno al suo invito a stare con lui, a seguirlo, a condividere con lui la sua passione per gli uomini, soprattutto per i miseri della storia, ci incoraggia a confermare ancora le promesse della nostra ordinazione, quelle promesse che hanno consentito a Dio Padre di renderci partecipi della consacrazione di suo Figlio, perché anche noi “diventassimo pescatori di uomini”.
E queste promesse, confermate personalmente (“prometto”) le rinnoveremo insieme, come presbiteri mandati dal Signore risorto a “proclamare il suo Vangelo” agli uomini e alle donne che vivono in questo territorio.
Che Dio Padre ci aiuti a rinnovare le nostre promesse con la fiducia che non lascerà incompiuta l’opera buona che ha iniziato in noi, il giorno della nostra ordinazione, ma la porterà a compimento.