Maria Assunta in Cielo. Messa della Vigilia (14 Agosto2025)

La celebrazione quest’anno di Maria, Assunta in cielo, ha nell’Anno giubilare una cornice che conferisce ulteriore rilievo a quello che rappresenta. Papa Francesco ha indicato come messaggio centrale del Giubileo quanto scrive l’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani: «La speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (5,5). Alla luce dell’affermazione paolina papa Francesco ha parlato di noi, uomini e donne, che vivono sulla terra, in questo tempo così travagliato, come “pellegrini di speranza”, augurandosi che «Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza».

Quando non siamo troppo distratti dal fare della vita ci rendiamo conto che per la nostra esistenza la speranza è un po’ come l’ossigeno per i polmoni, i quali, quando viene a mancare l’ossigeno collassano, paralizzando la nostra vita. Quando viene meno la speranza, perdiamo il gusto di vivere, si affievolisce lo slancio dell’agire. Per questo vorremmo sapere di più riguardo alla speranza che “non delude e che non illude” di cui ha parlato papa Francesco. E’ sempre l’apostolo Paolo a rispondere alla nostra richiesta, quando, scrivendo al discepolo Timoteo, parla di «Cristo Gesù, nostra speranza» (1Tm 1,1).

A spiegarci perché  Cristo Gesù è la “nostra speranza”, la speranza “che non delude e non illude” è la seconda Lettura (1Cor 15,54b-57), dove l’apostolo Paolo parla della vittoria di Gesù Cristo sulla morte (quella che colpisce il nostro “corpo corruttibile” e “mortale”) e sul peccato (quello che consente alla morte di aprirsi un varco nella nostra esistenza e di aggredire le nostre speranze). Una vittoria quella di Cristo che “ha inghiottito la morte” e che ha impedito al peccato di “pungere, inoculare il veleno, che non solo colpisce mortalmente il nostro corpo, ma anche spegne ogni nostra speranza.

Celebriamo la solennità liturgica di Maria, che conclusa la propria esistenza sulla terra, partecipa da subito (“in corpo ed anima”) alla vittoria di Cristo, suo figlio e Figlio di Dio, sulla morte. Maria è la prima creatura a beneficiare pienamente e definitivamente della vittoria che Cristo ha ottenuto sulla morte, una vittoria che spinge l’apostolo Paolo a parlare di “immortalità”, come il nuovo vestito, preparato da Dio per il nostro corpo “corruttibile”, “mortale” e a lanciare una sfida alla stessa morte: «Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?».

Anche noi beneficeremo della vittoria di Cristo sulla morte e sul peccato. Il sapere questo fa di noi uomini e donne “pellegrini di speranza”, in cammino verso quella speranza che non “delude, non illude” che è Gesù Cristo, sulla quale possiamo costruire la nostra esistenza sulla terra, in ragione della quale  ha senso compiere gesti come la preghiera di benedizione sul mare, di intercessione per tutte le persone che vi lavorano, che lo custodiscono, che vi trovano ristoro, di supplica per chi vi ha perso tragicamente la vita (nel lavoro, in incidenti, nel tentativo di guadagnare condizioni di vita più dignitose). Ha senso, anzi diventa un forte richiamo a non arrendersi al male che in tante forme (la violenza omicida, lo sfruttamento, la prevaricazione, la pratica sistematica della truffa, l’intolleranza, l’indifferenza…) aggredisce in modo sconcertante la nostra vita, le relazioni tra le persone, tra i popoli.

Anche noi potremo prendere parte alla vittoria di Gesù Cristo sula morte, sul peccato, se nel corso della nostra vita ci lasceremo includere nelle persone che Gesù nel vangelo, appena proclamato, (Lc 11,27-28), rispondendo a una donna che aveva manifestato apprezzamento per sua madre («Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato»), aveva apprezzato come “fortunate” (“beati”), perché «ascoltano la parola di Dio e la osservano». Tra quelle persone Gesù includeva certamente sua Madre.

Le parole di Gesù potrebbero costituire un concreto e prezioso “programma di vita”, soprattutto per questo tempo nel quale le tante (troppe e spesso fuori luogo) parole che ci scambiamo, non danno alcuna solidità alle nostre speranze, anzi le deprimono mortalmente.