L’ antifona d’ingresso della Messa del giorno di Natale ci ricorda con un testo del profeta Isaia (9,5) che: «un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio… e il suo nome sarà: Consigliere mirabile».
La nascita di un bambino è considerata una risorsa. Ogni bambino che viene al mondo si presenta con una precisa qualifica: è figlio, cioè qualcuno a cui è stata data la vita, a cui si è consentito di nascere, di venire al mondo (decisione non sempre scontata in questi tempi), un bambino del quale ci si prenderà cura, perché crescendo sia in grado di riconoscere che la vita è una preziosa risorsa, per questo da condurre con responsabilità.
Il bambino che viene al mondo in una famiglia è una risorsa anche perché diventa “consigliere” di chi lo ha generato, perché li istruisce sulla verità che sta a fondamento dell’esistenza tra gli umani: se la vita la coltiviamo solo per noi, a esclusiva utilità nostra, dei nostri bisogni, la perdiamo, perché finisce per esaurirsi; se, invece, la condividiamo con altri, la offriamo loro, la vita proseguirà il suo corso e il nostro cuore non sarà più angustiato dalla paura di perderla.
Infine un figlio è una risorsa perché contribuisce ad alimentare una speranza, per chi lo ha generato e per l’intera umanità. Per chi lo ha generato, perché gli promette che la sua esistenza ha un futuro, ha la possibilità di un buon investimento, non si esaurisce in se stessa. Per l’intera umanità perché consente il proseguimento del suo cammino.
Il bambino cui fa riferimento il profeta Isaia nell’antifona d’ingresso ha un nome, Gesù e una qualifica, è figlio, non nostro, ma di Dio, di un Dio che ha deciso di parlarci attraverso lui: «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezza del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo» (Eb 1,1-6). Di questo Figlio l’anonimo Autore della lettera scrive che “tutto sostiene con la potenza della sua parola”.
Il Figlio di Dio, dato alla luce da Maria, che ha ricevuto il nome – Gesù – che lo identifica tra le persone, da Giuseppe, il quale lo ha anche accompagnato nella sua crescita, è stato, anzitutto, consigliere mirabile per i suoi genitori (cfr l’episodio del suo ritrovamento nel tempio raccontato da Lc 2,41-52,) e continua a esserlo per ciascuno di noi. Consigliere, non solo perché ci offre preziose indicazioni per un’esistenza bella, buona e felice, ma anche e soprattutto perché ci dà la possibilità di accedere a quella vita che gli appartiene, come scrive l’evangelista Giovanni nel Prologo del suo vangelo (1,1-18), appena proclamato: «in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini». Più avanti specificherà che questa vita che Gesù offre è la sua stessa vita, quella propria dei “figli di Dio”. Perché questo accadesse, scrive Giovanni, il Figlio di Dio (il Verbo), «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi».
Gesù, il Figlio di Dio, abita tra di noi, molto più che come consigliere, addirittura, come speranza per la nostra vita, speranza che non delude, affidabile. Una speranza non solo per l’esistenza che si svolge nel tempo, sulla terra, ma anche, soprattutto, per quell’esistenza che prosegue oltre, quell’esistenza che la liturgia chiama “vita immortale”, vita piena, inesauribile, la vita “divina (filiale)” di Gesù stesso.
Giovanni ci dice che noi accediamo alla vita di Gesù se “lo accogliamo”, se “crediamo nel suo nome”. A noi, quindi, la decisione se accogliere Gesù, il Verbo di Dio, «per mezzo del quale tuto è stato fatto», il Figlio di Dio che ha fatto conoscere quel «Dio che nessuno ha mai visto», o se, come rileva Giovanni nel Prologo del suo vangelo, impediamo alla luce della sua vita di risplendere sulle nostre tenebre, se non lo riconosciamo come una “benedizione”, come speranza affidabile, come quel figlio che è nato per noi.
Perché non commettiamo il tragico errore compiuto dal mondo nei confronti del Figlio di Dio, abbiamo chiesto al Padre di metterci nelle condizioni (sostenere, guidare, la nostra libertà) di condividere la vita divina del suo Figlio «che ha voluto assumere la nostra natura umana», una richiesta che accoglie l’invito di Papa Francesco a vivere l’Anno santo, appena iniziato, come “un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, “porta di salvezza”(cfr Gv 10,7.9); con lui, che la Chiesa ha la missione di annunciare sempre e ovunque e a tutti quale “nostra speranza” (1Tm 1,1)».