Il vangelo appena proclamato (Lc 3,15-16.21-22) racconta che al fiume Giordano accadono due fatti tra loro strettamente collegati: anche Gesù riceve, con tutto il popolo, il battesimo da Giovanni e inoltre viene proclamato dal Padre (la voce dal cielo) Figlio amato, nel quale il Padre si riconosce : “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”.
Il battesimo ricevuto da Gesù era il gesto compiuto da chi si riteneva peccatore. Per questo la dinamica del gesto prevedeva il riconoscimento dei propri peccati, come annota l’evangelista Marco: «Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme, confessando i loro peccati» (1,5). Ora Gesù riceve il battesimo, pur non avendo peccati da confessare. Perché allora compie questo gesto?
La risposta sta nell’avvenimento dell’incarnazione che in questi giorni abbiamo celebrato: il Figlio di Dio si fa uno di noi, prende la carne degli uomini, per riscattarli dalla schiavitù del peccato, per offrire loro la comunione con Dio. Andando al Giordano, confuso tra la folla dei peccatori, Gesù dice fin dove si spinge nel condividere la nostra condizione di uomini peccatori.
L’Apostolo Paolo parlerà in modo audace di questa condivisione nella seconda Lettera ai cristiani di Corinto: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (5,21).
L’evangelista Luca registra che il gesto di Gesù ha come effetto l’apertura del cielo: “ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba”. Quel cielo che dopo il peccato di Adamo restava inaccessibile agli uomini, con Gesù si riapre. Dio e gli uomini riprendono a incontrarsi, a parlarsi. Dal cielo “squarciato” lo Spirito Santo “discende verso di lui (Gesù) in forma corporea, come una colomba” e il Padre (“la voce dal cielo”) si rivolge direttamente a Gesù per dire l’approvazione della sua decisione di andare al Giordano a ricevere il battesimo riservato ai peccatori, lui che non ha commesso peccati (“Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”).
Il battesimo di Gesù ci riguarda da vicino perché ci ricorda che con lui, come scrive l’apostolo Paolo al discepolo Tito (Tt 2,11-14; 3,4), “è apparsa la grazia di Dio, che porta la salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà (detto in altre parole a condurre un’esistenza bella, buona e felice), nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci (liberarci) da ogni iniquità e formare per se stesso un popolo puro (libero) che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone”.
Conclusi i giorni di festa del Natale siamo tornati alla vita quotidiana, con i suoi impegni, le sue fatiche, le sofferenze e speranze. Quanto abbiamo celebrato ci conferma il desiderio di Dio di offrirci le cose buone del suo amore per noi, la sua cura per la nostra vita; ci chiede di lasciarci rinnovare interiormente (nel nostro cuore) da questo amore, di accogliere Gesù, il Figlio Amato, nel quale il Padre si riconosce, che rappresenta l’affidabile speranza per la nostra vita e c’impegna a vivere come suoi fedeli imitatori. E’ quanto abbiamo chiesto Dio Padre nella preghiera della Colletta, all’inizio della celebrazione: «il tuo Figlio si è manifestato nella nostra carne mortale, concedi a noi, che lo abbiamo riconosciuto come vero uomo, di essere interiormente rinnovati a sua immagine». Potrebbe essere questo il nostro concreto impegno a vivere bene l’Anno Santo, appena iniziato.