Accolitato di Francesco Avellini e Rodolfo Papini (30 Ottobre 2025)

Sia le esortazioni rivolte ai candidati ai ministeri del Lettorato e dell’Accolitato, come le successive preghiere rivolte a Dio Padre, suggeriscono la conclusione che i due ministeri non sono funzioni, ma servizi. Ne deriva l’ulteriore conclusione che il Lettore e l’Accolito non sono dei funzionari, ma persone che svolgono un servizio. La differenza è radicale. Il funzionario è impegnato a svolgere con competenza la funzione assegnata, che non necessariamente interferisce profondamente sulla sua esistenza, non lo impegna a strutturare la vita su di essa né a lasciarsi “formare” da essa.

Non così per chi è chiamato a svolgere un servizio nella Chiesa, in questo caso il servizio di Lettore e di Accolito, perché a queste persone è richiesta non solo la “competenza” che ogni servizio esige, ma anche e soprattutto di consentire al ministero di “dare forma” alla loro esistenza di credenti, di conformare sempre più il loro essere e operare a quanto il ministero rappresenta.

Penso che si possa concludere, senza timore di enfasi fuori luogo, che i primi destinatari e beneficiari dei due ministri siete voi che li avete richiesti. Certamente il beneficio del ministero  – la grazia per essere più precisi – non è solo per voi, ma anche per la Chiesa, per le vostre Chiese particolari. A voi è chiesto di propiziare con la vita e il servizio, l’azione della Parola di Dio e della Pasqua di Gesù, di cui l’Eucaristia è memoria viva e efficace. Questo accadrà se voi “mentre annunziate agli altri la Parola di Dio, saprete accoglierla in voi stessi, con piena docilità allo Spirito santo; se, esercitando il ministero di accoliti, “vi impegnerete a vivere sempre più intensamente il sacrificio del Signore e a conformarvi sempre più il vostro essere e il vostro operare”.

I testi della parola di Dio appena proclamati ci offrono preziose indicazioni per l’esistenza di chi si pone a servizio nella Chiesa.

La prospettiva indicata dal testo della lettera ai Romani (8,31-39) non va nella direzione del ridimensionamento delle tante e impegnative “prove” della vita o dell’occultamento ingenuo della fatica di vivere, anche come credenti, ma nella direzione del presentare la possibilità che una vita come quella dei credenti in Cristo, per nulla diversa da quella di ogni uomo e di ogni donna, possa fare affidamento su una fondata speranza, una speranza cioè che non illude né delude.

Tale possibilità non è riconosciuta nell’intraprendenza dell’uomo, nella sua capacità di superare le prove della vita o/e di far fronte a esse, ma nel Dio di Gesù, che da sempre ama gli uomini, si interessa alla loro storia, si dedica a essi incondizionatamente, lasciandosi coinvolgere nella loro vicenda fino al punto di affrontare lui stesso le medesime prove, compresa la morte.

E’ il fatto che Dio ci ama, si interessa a noi, ciò su cui possiamo far conto nella nostra vita, la “buona causa” a partire dalla quale si può stare dentro la vita non con rassegnazione né in balia di quanto succede, ma con la fede di chi sa in chi ha posto la propria speranza, sa che nulla e nessuno «potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Gesù Cristo nostro Signore» e che «mantiene senza vacillare la professione della propria speranza, perché è fedele colui che ha promesso» (Eb 10,23).

Il brano del vangelo (Lc 13,31-35) documenta come  Gesù reagisce al rifiuto della sua opera (“scacciare i demoni, compiere guarigioni” e “raccogliere gli uomini “sotto le ali” del suo amore), quello violento di Erode che cerca di ucciderlo, e quello degli abitanti di Gerusalemme che non accolgono l’offerta del suo amore, con conseguenze disastrose, la solitudine mortale (la casa lasciata deserta). Gesù è deciso a “proseguire il suo cammino”, fino alla morte e manifesta tutta la sua amarezza per la chiusura di Gerusalemme, con un parole che dicono tutta la drammaticità del rifiuto della sua salvezza offerta.

Anche oggi si ripropone il rifiuto di Gesù, del suo Vangelo. Rifiuto che rappresenta una delle prove, forse la più impegnativa, che siamo chiamati ad affrontare come credenti.

Se da noi, diversamente da altre parti del mondo, il rifiuto non si esprime con la violenza omicida, assume però la forma dell’indifferenza, della marginalità, del porre in altro o in altri la speranza per la propria vita. Non permettete che la sfiducia, lo scoraggiamento e il risentimento s’impadroniscano del vostro cuore e rallentino la vostra passione per l’annuncio del Vangelo che salva, né la testimonianza di Gesù, colui che è la speranza che non illude né delude. per tutti, anche per gli uomini e le donne di questo tempo.