Processione con il Cristo morto (Venerdì Santo 14 aprile 2017)

Dal tema che ha guidato il nostro cammino dietro la croce per le vie della nostra città, luogo dove intrecciamo tante relazioni, emerge il desiderio di relazioni “nuove” rispetto a quelle che stiamo vivendo, constatata la scadente qualità di queste ultime, per non dire della loro impossibilità, come è stato documentate nelle diverse stazioni della Via crucis.

Il tema ci indica anche dove queste nuove relazioni potrebbero nascere, da dove potrebbero essere generate: dalla croce di Gesù, più precisamente, da Gesù crocifisso.

A prima vista la croce sembra essere il luogo meno adatto per costruire relazioni buone, serene, ospitali, perché è il luogo dove i rapporti sono inquinati dalla violenza, dal rancore, dal risentimento. Una prima e sommaria lettura dei racconti evangelici della morte di Gesù sembra confermare questa impressione. Invece e per fortuna non è così.

Il racconto di Luca (23,33-43) documenta la nascita di un’amicizia tra due persone diverse, distanti, tra di loro, per le scelte di vita che avevano fatto, Gesù e uno dei malfattori.

Attorno alla croce di Gesù ci sono tante persone: il popolo, i capi, i soldati e i malfattori. Tutti sentono le parole di Gesù, parole dove non c’è traccia di risentimento, di odio: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».

Le persone presenti non reagiscono allo stesso modo alla parole di Gesù: il popolo sta a vedere, evitando ogni coinvolgimento; i capi deridono Gesù, sfidandolo («Ha salvato altri! Salvi se stesso. Se è lui il Cristo di Dio, l’eletto»); i soldati, oltre a deriderlo e a sfidarlo («Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso»), lo torturano («gli si accostavano per porgergli l’aceto»); uno dei malfattori lo insulta («Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi»); l’altro malfattore invece difende Gesù («Non ha fatto nulla di male»), si rivolge a lui non in modo arrogante (lo chiama per nome, Gesù. E’ la prima volta nel Vangelo che Gesù viene chiamato con il suo nome), non pretende nulla da Lui, ma gli rivolge una richiesta umanissima, che si fa a una persona amica (“ricordati di me”).

Quest’uomo, che nella vita aveva sempre evaso la giustizia, ora la condivide (risponde così all’altro malfattore che aveva aggredito Gesù: «Noi [siamo condannati] giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni»); quest’uomo che probabilmente quando nominava Dio era per bestemmiarlo, per maledirlo, ora parla di “timore di Dio” (rivolto all’altro malfattore: «Non hai alcun timore di Dio? Tu che sei condannato alla stessa pena?»); quest’uomo che aveva conosciuto solo la complicità nei rapporti, ora intravede la possibilità di un’amicizia, di una fiducia, di un’ospitalità; quest’uomo che non ha più futuro, se non quello di una morte dolorosa che spera giunga in fretta, intuisce che quel Gesù, che gli sta accanto e che come lui, sembra non avere altro futuro che la morte, in realtà ha un futuro per sé e che può aprire anche a lui un futuro diverso («ricordati di me quando entrerai nel tuo regno»).

Perché quest’uomo, a differenza delle altre persone si è rivolto a Gesù in quel  modo? Penso perché ha scoperto nelle parole di Gesù un tipo di umanità nuova, capace di stabilire relazioni nuove, non più regolate da rapporti di forza, da interessi, dalla paura dell’altro, dall’arroganza e dalla sopraffazione, ma dalla fiducia, dal desiderio che diventa impegno paziente e tenace a disinnescare le tensioni, a offrire solidarietà.

Quell’uomo non solo ha scoperto questo, ma ha consentito alle parole di Gesù di entrare nel suo cuore, di cambiarlo e di cambiare il suo modo di considerare le persone, di vivere le relazioni.

Mettiamoci alla scuola di questo malfattore, come lui si è messo alla scuola di Gesù. Potremo anche noi costruire quelle relazioni nuove che ci stanno a cuore, a partire dai luoghi più prossimi e frequentati della nostra esistenza quotidiana.

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